Home / CONVEGNI E SEMINARI / “Il suicidio della pace”: capire il crollo dell’ordine internazionale

 

Venezia, 8 aprile – Presso l’Istituto di Studi Militari e Marittimi si è tenuta la conferenza Il suicidio della pace, occasione per approfondire l’omonimo saggio di Antonio Colombo. L’autore offre una riflessione lucida e provocatoria sulla crisi dell’ordine internazionale, sostenendo che non si tratti di un fenomeno recente, bensì di un lento disfacimento iniziato almeno vent’anni fa.

Il libro si apre con l’osservazione di una “crisi del controllo”: l’aumento di conflitti armati sempre meno negoziabili si accompagna a un impoverimento degli strumenti intellettuali e strategici con cui affrontarli. L’ordine liberale, costruito negli anni ’90 sulla fiducia in un mondo unipolare guidato dagli Stati Uniti, si è incrinato nei suoi stessi presupposti: il multilateralismo vacilla, la globalizzazione è in ripensamento, l’autorità delle democrazie si mostra fragile.

Il trauma collettivo della pandemia, il ritorno della guerra in Europa, la crisi in Medio Oriente e la polarizzazione politica interna alle democrazie occidentali – a partire dall’assalto a Capitol Hill – sono per Colombo solo epifenomeni di una trasformazione già in atto da tempo. Non si tratta di una semplice “stagione difficile”: il sistema internazionale sta vivendo una vera e propria mutazione genetica.

Nel corso della conferenza, Colombo ha illustrato la struttura storica del suo saggio, che suddivide gli ultimi trentacinque anni in cinque fasi. Dall’euforia degli anni Novanta, con l’apparente trionfo dell’ordine liberale e il progetto di una trasformazione globale, si passa alla militarizzazione successiva all’11 settembre, poi alla crisi economica del 2008, considerata una svolta irreversibile. Da lì in poi, il sistema entra in una fase di competizione multipolare e incertezza crescente, fino al “crollo” attuale.

Uno dei passaggi più rilevanti del saggio riguarda la guerra al terrore, che secondo l’autore ha alterato in modo profondo – e duraturo – le categorie del diritto internazionale e dell’etica bellica. L’uso della forza si è fatto più disinvolto, meno regolato, più opaco. È cambiata anche la narrazione pubblica: oggi risulta difficile perfino rispondere alle domande fondamentali su chi abbia diritto a fare guerra, con quali mezzi, e a quali condizioni.

Durante il dibattito che ha seguito la presentazione, i discussant hanno ampliato lo sguardo, richiamando episodi come la guerra in Kosovo o la gestione retorica della “democrazia” come concetto-ombrello. È stato sottolineato come l’Occidente, in particolare l’Unione Europea, abbia coltivato l’illusione di poter “guidare il mondo”, salvo poi ritrovarsi a reagire in modo confuso e autoreferenziale alle sfide emergenti. Lo smarrimento contemporaneo, ha osservato uno degli interventi, nasce anche dalla difficoltà a costruire nuovi immaginari geopolitici: oggi fatichiamo a identificare alleati e nemici, e tendiamo a leggere il futuro con lenti ormai logore, guardando al passato.

Il testo di Colombo suggerisce inoltre che la crisi dell’ordine globale non dipenda tanto dalla comparsa di attori alternativi come Russia e Cina – negli anni ’90 ancora deboli o marginali – quanto da un errore di fondo del sistema stesso: la sua pretesa universalistica, la sua esclusività, la sua incapacità di ascoltare l’“altro”. L’ordine liberale, pur nato in nome della democrazia, si è spesso rivelato diseguale nei rapporti internazionali, distinguendo tra Stati “legittimi” e “illegittimi” sulla base di criteri autoreferenziali.

La conferenza ha toccato anche le trasformazioni economiche e tecnologiche che hanno accompagnato questo percorso: la globalizzazione come processo spinto da crisi successive, l’emergere di nuove potenze economiche, la crescente co-dipendenza tra economie nazionali, la rivoluzione tecnologica e la smaterializzazione del potere produttivo.

Il messaggio che emerge, in definitiva, è duplice: da un lato, la centralità geopolitica europea è venuta meno, e con essa l’illusione di poter stabilire regole valide per tutti; dall’altro, la crisi dell’ordine moderno – giuridico, politico e militare – pone sfide che non si risolvono semplicemente con un cambio di leadership. Bisognerà ripensare i fondamenti stessi delle relazioni internazionali.

Il suicidio della pace non è dunque solo un saggio storico o geopolitico: è un invito ad abbandonare le scorciatoie del pensiero semplicistico e ad affrontare il presente per quello che è – complesso, instabile, e tutt’altro che risolto.

Di Giulia Alberoni

 
 
 
Fondazione Venezia per la Ricerca sulla Pace