Di Stella Guizzardi
Si è svolta anche nel 2025, presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, la XVIII edizione della Giornata di Studi Armeni e Caucasici, evento ormai di riferimento per chi si occupa di diversi temi sullo sfondo del Caucaso e dei suoi rapporti con l’Italia.
Come da tradizione l’evento si è sviluppato in due parti. La prima parte della giornata, la sessione mattutina, si è concentrata su questioni più antiche, come ad esempio calligrafia georgiana e mappe armene del ‘600 commissionate da diplomatici italiani. La seconda invece ha avuto un tono più contemporaneo, con interventi di storia contemporanea, antropologia e geopolitica, tra gli altri.
Tra gli interventi del pomeriggio vi è quello di Antonella Ricci, dottoranda dell’Università Sapienza di Roma, con un intervento dal titolo: “Tra diplomazia e politica: tre italiani di fronte alla questione armena (1895-1940)”. La dottoressa Ricci ha accompagnato gli spettatori nella storia di tre uomini italiani, Giacomo Gorrini, diplomatico, Luigi Luzzatti, uomo di politica, e Filippo Meda, uomo politico e giornalista. Le storie di queste tre figure raccontano l’inusuale attenzione che l’Italia ha spesso avuto per la questione armena. “Italia e Armenia sono accomunate e avvicinate dai temi della patria e della nazione, sono per loro gli stessi anni di definizione della nazione”. Infatti, gli anni della questione armena, sono gli anni in cui l’Italia deve stabilire chi è come nazione, che cosa rende i suoi cittadini italiani, cercare una definizione del suo popolo e del suo paese. Questi tre uomini probabilmente hanno trovato un riflesso di questo sforzo nazionale nel popolo armeno, trattenuto nella sua espressione nazionale da una chiara ingiustizia.
Successivamente interviene Marika Murgioni, dottoranda dell’Università di Padova e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. La dottoressa Murgioni ha presentato il suo progetto di dottorato, una ricerca antropologica sul termine namus, nello specifico, sul suo utilizzo nella città di Gyumri in Armenia. Il titolo completo della ricerca è “Il namus a Gyumri: pratiche di costruzione, difesa e ridefinizione dei confini dell’armenità”. Nel contesto della ricerca, centrale è la connessione tra il concetto di namus, che viene tradotto in italiano come “onore”, anche se ha un significato culturalmente molto più ampio, e il concetto dell’armenità. Il namus è qualcosa che si ha o non si ha, impatta particolarmente le donne, è connesso a ciò che è socialmente appropriato e accettato, per questo motivo è relazionato anche al matrimonio. Una delle caratteristiche della donna che possiede il namus è quella di scegliere e sposare un uomo armeno, quindi compiere la scelta di non interrompere la linea di sangue e portare avanti il popolo armeno. La dottoressa Murgioni traccia abilmente i nessi tra il namus, il ruolo della donna, e l’armenità, indagando il complesso tema della definizione dell’identità nazionale.
Infine, assistiamo all’intervento del dottor Alberto Carrer, esperto di geopolitica del Caucaso presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, che ha esposto un intervento dal titolo “Georgia e Stati de facto: tra europeizzazione e de-europeizzazione”. La caratteristica interessante di questo contributo è quella di proporre una strada alternativa di transizione verso la trasformazione del conflitto tra Georgia e Abkhazia e Ossezia del Sud. Carrer riflette sul ruolo del processo di europeizzazione nel contesto di paesi in conflitto: “Il processo di integrazione europeo è un processo normativo. Attraverso l’accesso ad una zona economica e sociale, si richiede un allineamento ai valori europei (di democrazia e pace)”. L’accesso all’Unione Europea potrebbe quindi, secondo Carrer, aiutare la Georgia ad affrontare attraverso modalità pacifiche i conflitti interni con i due Stati de facto (Abkhazia e Ossezia del Sud); l’ingresso in Unione Europea ha già avuto funzione pacificatrice in altri contesti, come ad esempio quello di Cipro.
Questa riflessione non è nuova, negli ambienti di studio dei conflitti è evidente come l’Unione Europea sia un’esperienza di pace notevole. In un continente segnato da una storia secolarmente sanguinosa, l’Unione Europea si inserisce come una parentesi di pace che funziona. Ci si potrebbe chiedere se il successo di questa esperienza sia dettato dall’imposizione dei valori democratici, per rispondere ad una necessità di pace kantiana, che lega la democrazia alla pace, oppure se sia stato l’aumento del coinvolgimento civile oltre confine a portare all’avvicinamento tra i diversi popoli. Una volta identificato l’elemento chiave di questa formula vincente, considerando le particolarità e i bisogni di ogni luogo, la ricetta della pace potrebbe essere riprodotta in vari luoghi del mondo, non solo perché è un’alternativa migliore alla guerra, ma perché funziona.