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Di Stella Guizzardi

Tra poesia e pace, Palabra en el Mundo, Festival Internazionale di Poesia è ormai alla sua XIX edizione. Il Festival si protrae per tutto il mese di maggio in varie località e per tre giornate, dal 22 al 24, è stato ospitato in diversi luoghi di Venezia, al Bistrot di Venise, nella sede di Emergency, e al Palazzo Pisani Revedin.
Nel corso delle giornate veneziane, durante l’evento si sono susseguite letture di testi poetici, momenti di musica e condivisione a tema poesia e pace, ancora una volta il soggetto centrale del festival.

Il Festival nasce diciannove anni fa, dal progetto “Proyecto Cultural SUR Internacional” della rivista Isla Negra dell’Avana. Per questo la prima edizione di Palabra en el Mundo si è svolta proprio a Cuba e oggi il Festival è patrocinato dall’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba, come ricorda con affetto l’ambasciatrice cubana in Italia Mirta Granda Averhoff nel suo discorso agli ascoltatori. Da quella prima edizione, oggi si svolgono oltre tremila eventi sparsi in più di cento città nel mondo.

“La parola poetica è intesa come strumento relazionale, dove conflitti, diseguaglianze e diversità possono incontrarsi, accogliendosi e comunicando liberamente” recita la presentazione dell’evento. “Bisogna cercare strumenti diversi dalle armi” ha affermato Mara Rumiz di Emergency introducendo la serie di letture di testi poetici del 23 maggio. Il senso di Palabra en el Mundo è proprio quello, la poesia delle parole e dei gesti contribuisce al cambiamento culturale necessario per la pace.

Sul palco si sono alternati scrittrici e scrittori dai quattro angoli del mondo, portando le proprie prospettive e le proprie storie al pubblico veneziano. I testi inoltre sono stati raccolti in un volume stampato dal Centro Internazionale della Grafica, che ha anche aggiunto un QR code nelle pagine di ogni sezione per poterne ascoltare la lettura per un’esperienza più immersiva.
I temi trattati dagli autori all’interno del macrocosmo della pace spaziano passando dalla memoria, alle montagne, alla casa, alla guerra. Proprio per quanto riguarda le guerre contemporanee, viene letto un appello di Tomaso Montanari, rettore dell’Università per Stranieri di Siena, per Gaza, in cui si è chiesto ai singoli di partecipare alla commemorazione delle persone morte sulla striscia esponendo dalle proprie finestre un sudario bianco: “Il sudario ricopre, sottrae alla vista del mondo il corpo di cui è stato fatto scempio. Avvolgere nel sudario è un gesto estremo di cura, di pietas. Protegge la dignità degli esseri umani quando le vite non valgono più niente, nella conta approssimativa dei morti. (…) Tutti insieme (i sudari esposti) saranno i corpi che il mondo non vuole vedere”.
Le immagini dei sudari, come le parole delle poesie, diventano importanti simbologie per ricordare e ricordarci che siamo umani e cercare alternative alle armi e alla distruzione è necessario, così come investire nella pace fondamentale.

 
 
 
Fondazione Venezia per la Ricerca sulla Pace