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Di Stella Guizzardi

Disarmo: storia e presente di un’istanza di speranza
 – Questo il titolo della conferenza tenutasi il 29 maggio 2025 presso l’Ateneo Veneto, alla presenza di Alessandro Pascolini (Centro di Ateneo per i diritti umani e professore di Fisica Teorica e Scienze per la Pace), Marco Mascia (Centro di Ateneo per i diritti umani e Professore di Relazioni Internazionali), Marianella Sclavi (Movimento Europeo di azione nonviolenta), Francesca Benciolini (Assessora alla Pace del Comune di Padova) e Tiziana Plebani (Società italiana delle storiche).

Ha aperto l’incontro la presidente dell’Ateneo Veneto, la Dottoressa Antonella Magaraggia, citando Gino Strada: “l’unica verità della guerra sono le vittime”. Con questa citazione la Dott.ssa Magaraggia ha offerto agli ascoltatori una riflessione in direzione inversa sul disarmo, partendo non dagli Stati, le entità che hanno potere decisionale sugli armamenti, ma dalle vittime, proprio quelle che le armi le subiscono senza sceglierlo.

Il disarmo non è un tema nuovo, il professor Pascolini ha accompagnato il pubblico in una piccola lezione di storia di questo ideale, parlando delle principali convenzioni che trattano di rinuncia alle armi e smantellamento, dei diversi tipi di disarmo e della speranza oggi.
Quindi che cosa vuol dire esattamente parlare di disarmo? Pascolini ha spiegato: “Questo termine indica l’effettiva eliminazione totale di una classe di armi, assieme ai loro vettori, il blocco della ricerca e sviluppo in tale settore, lo smantellamento o la riconversione degli impianti di produzione delle armi, lo scioglimento dei corpi militari addetti al loro uso, l’eradicazione di tali armi dalla dottrina militare e politica strategica del paese. Il tutto con sistemi di controllo e verifica. E’ un cammino lungo, ad esempio il disarmo chimico a livello internazionale è un processo durato trent’anni. Oltre al cambiamento culturale, sono necessarie operazioni complesse (burocratiche, procedurali e ambientali) e costose”.
La lunghezza e la difficoltà del cammino non devono far pensare che questo sia impossibile, esistono delle esperienze di disarmo volontarie che funzionano, ad esempio, le cosiddette zone libere da armi nucleari. Gran parte dei Paesi dell’emisfero meridionale ha rinunciato spontaneamente alle armi nucleari, formalizzando poi la decisione con trattati internazionali.
Tuttavia, “parlare di disarmo oggi è come voler far nascere un papavero dal cemento” ha dichiarato il professor Pascolini. Il cambiamento culturale necessario all’accettazione collettiva del disarmo sembra andare di questi tempi in direzione opposta e anche organi che dovrebbero essere promotori di pace, come l’Unione Europea, parlano di piani di riarmo. La speranza è che almeno qualcuno continui a credere nella sua possibilità.

L’intervento successivo si concentra proprio su questo: come uscire dalla situazione in cui siamo ora? Il professor Mascia ha affermato “Guardo ora all’Unione Europea, che nasce con un obiettivo di pace, di superamento dei nazionalismi e dei confini con una federazione europea dal sogno di Spinelli. L’istituzione è un attore fatto di norme e soft power, e nel passato con la clausola del diritti umani nei contratti giocava un ruolo chiaro nelle relazioni internazionali, o ti adatti ai nostri standard di diritti, o non fai affari con noi. Oggi però gioca con un doppio standard, con la Russia ha severi pacchetti di sanzioni, mentre con Israele no. Il diritto internazionale dovrebbe essere uguale per tutti.”

Se per il professor Mascia la speranza è rappresentata da un’inversione di rotta a livello etico e di condotta istituzionale, per Marianella Sclavi invece, la speranza è la deterrenza: “rende inutile pensare di continuare ad utilizzare le armi”. La dottoressa Sclavi è esperta di conflitti e ha preso come esempio la deterrenza che ha avuto successo a Cuba, il modello potrebbe funzionare anche nei conflitti più recenti, eradicando le armi come possibilità pensabile.

Il panel si è concluso poi con l’intervento di Francesca Benciolini, Assessora alla Pace del Comune di Padova, che ha sottolineato il valore della comunità nelle azioni quotidiane di pace. Il ruolo della comunità è fondamentale per creare un sottobosco di educazione alla convivenza necessario per il cambiamento culturale che può rendere possibile un futuro disarmato.

 
 
 
Fondazione Venezia per la Ricerca sulla Pace