
Convegno "Sport, Ambiente, Pace": la relazione con l'altro tramite riconoscimento e memoria
Lo scorso 28 novembre si è svolta, presso il Centro Culturale di Longarone (BL), la seconda fase del progetto “Giovani Staffette per la Pace“, organizzato dalla Fondazione Venezia per la Ricerca sulla Pace in collaborazione con l’associazione Scuole in Rete di Belluno, e promosso dalla Regione Veneto tramite il bando “Iniziative di promozione della cultura dei diritti umani”.
Evento principale di questa seconda fase è stato il convegno “Sport, Ambiente, Pace”, tenutosi grazie alla preziosa collaborazione della Pro Loco di Longarone. Il convegno ha visto la partecipazione del Prof. Nicola Sbetti, docente di Storia dello sport presso l’Università di Bologna, dell’Ing. Vanni Toigo, già Dirigente di ricerca del CNR e del Consorzio RFX dell’Università di Padova, e il Sig. Mario De Bon, testimone del disastro del Vajont.
Affrontando temi relativi al significato storico della Tregua Olimpica e al complicato rapporto Uomo-Natura, il convegno ha aiutato gli studenti dell’Istituto Tecnico Economico 8 Marzo-Lorenz di Mirano e dell’Istituto Alberghiero Dolomieu di Longarone a ragionare sul significato di “relazione con l’altro” e su come la Pace, lontana dall’essere un concetto meramente astratto, rappresenti lo spirito con cui i diversi tipi di relazione attraverso i quali l’essere umano si rapporta al diverso da sé – che sia una persona, la natura o l’ambiente – si devono sviluppare per poter essere sostenibili e duraturi nel tempo.
Infatti, per quanto l’ambiente, lo sport e la pace sembrino essere temi molto distanti fra loro, in realtà, se analizzati più da vicino, sono profondamente interconnessi. Ed è proprio il concetto di relazione ad unirli.
L’uomo – che già Aristotele definiva animale sociale – per vivere non può che “porsi in relazione” sia con l’ambiente che con i suoi simili, in una moltitudine di forme diverse. Nel caso dello sport, come ha sottolineato il Prof. Sbetti durante il convegno, questa relazione si instaura tramite il pieno riconoscimento dell’altro, che, seppur in una dicotomia, è avversario, non nemico. Rappresenta il diverso da sé, certo, ma allo stesso tempo rimane un proprio simile.
L’educazione a questo riconoscimento reciproco rappresenta l’essenza civica dello sport, come recita dal 2023 la stessa Costituzione: “la Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme” (Art. 33, comma 7).
Anche Alessandra Missana, commentando il lavoro di Luca Grion, professore di Filosofia morale del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università di Udine, evidenzia che è tramite valori come il fair play “che i giovani atleti sperimentano che nelle regole – e grazie ad esse – la libertà prende forma; essere liberi non significa sciogliersi dai legami, ma ‘legarsi bene’”.
Durante il convegno, il tema del “legarsi bene” è anche emerso per quanto riguarda il rapportarsi dell’uomo con l’ambiente e le sue risorse naturali. Infatti, se l’evoluzione umana all’alba dei tempi era caratterizzata da un andamento piuttosto lento ed era alimentata da un consumo sostenibile di risorse naturali, nell’era contemporanea progresso e miglioramento della qualità della vita vengono continuamente legati ad una concezione lineare di sviluppo che equipara l’avanzamento del genere umano al continuo sorpasso di sé, all’abbattimento di barriere che solo qualche decennio prima sembravano limiti irraggiungibili e all’assoluta, irrefrenabile espressione del genio umano sulla natura.
Ed è proprio così che il progetto del Vajont veniva definito negli anni ’50, un capolavoro ingegneristico che doveva riscattare l’Italia agli occhi del mondo e rappresentare la voglia di rivalsa e ripresa dopo l’onta incancellabile della Seconda Guerra Mondiale. Ma la linea fra desiderio di riscatto e cieca arroganza è molto sottile.
Quello che accadde il 9 ottobre del 1963 alle 22.39 viene spesso definito una tragedia. Eppure non fu esattamente una tragedia. Nella letteratura greca, la tragedia è un genere teatrale e letterario che parla di come l’agire tecnico dell’uomo, per quanto formidabile e potente, non potrà mai sovrastare il lento ma ineluttabile corso del destino naturale di ogni cosa. L’elemento tragico era racchiuso proprio lì, nel fatto che l’uomo, per quanto si sforzasse, non poteva essere in grado di ribellarsi ad una sentenza già scritta – ed inconsciamente già accettata – dal principio.
Ecco, il Vajont non fu una tragedia. Nella vicenda del Vajont non c’è mai stato alcun destino già scritto, alcun corso naturale delle cose. Non c’è stato niente di irrefrenabile, se non l’arroganza e criminale negligenza dell’uomo. Ciò che la tragedia greca e la vicenda del Vajont hanno in comune è una cosa sola: l’ubris umana.
Ed è per questo che ci piace pensare che il convegno, parlando di sport e ambiente e ricordando il disastro umano del Vajont, abbia dato la possibilità di concepire la Pace in maniera diversa, come un paradigma di sostenibilità delle relazioni con l’altro, basato sul concetto cardine di limite.
Il concetto di limite, infatti, non deve essere per forza negativo. Il limite delle risorse naturali che abbiamo a disposizione, il limite alla libertà assoluta dell’individuo per la salvaguardia della collettività sono elementi fondamentali da ricordare per mantenere l’armonia non soltanto fra le persone all’interno di una comunità, ma anche per rimanere in armonia con il mondo che abitiamo.



